Cominciamo col dire che ora posso morire felice. I miei idoli di gioventù ormai li ho visti tutti. Tralasciando per forza di cose Freddie Mercury che mi è morto prima che potessi vederlo dal vivo (screanzato!), Mark Knopfler l'ho visto più volte (con e senza Dire Straits) gli Iron Maiden pure... ora che mi son gustato anche l'immenso Macca, direi che posso considerarmi soddifatto.
E sarei rimasto soddisfatto anche se Sir Paul avesse fatto un concerto al minimo sindacale, tipo "hallo - suoniamo i pezzi - goodbye". In fondo è una leggenda vivente e non ha più nulla da dimostrare a nessuno. Invece il nonnetto non solo ci ha dato dentro per due ore e mezza (tre bis!) ma ha anche dimostrato una comunicatività ed una voglia di mettersi in gioco davvero sorprendenti. A cominciare dallo sforzo di imparare delle frasi in italiano che andassero al di là dei convenevoli e saluti di rito, correggendosi e ripetendo quando si impappinava (in fondo non ce n'era bisogno, la gente avrebbe capito ugualmente, anche se avesse pronunciato male qualche parola).
La grandiosità della struttura dell'intero spettacolo, coi suoi tre megaschermi, era poi comunque estremamente funzionale a ciò che accadeva sul palco, che infatti era estremamente sobrio e a misura di musicista. I cinque musicisti, infatti, erano chiaramente i protagonisti, ed una accuratissima regia video (che Paul non ha mancato di ringraziare ed omaggiare, a fine concerto - altro tocco di classe) ha efficacemente riproposto per tutte le tredicimila persone presenti, anche le più lontane, quello che accadeva sul palco.
Che Paul stesso fosse ben conscio di essere anch'egli un ingranaggio parte di un meccanismo complesso (quand'anche l'ingranaggio più in vista e quello per cui la gente aveva pagato il biglietto) è stato chiaro alla fine del concerto quando, ormai all'ultimo bis, ha deciso di variare leggermente la scaletta dei brani. Invece di atteggiarsi a superstar che fa quello che gli pare e la gente al suo servizio si deve adeguare, e possibilmente in fretta, si è preoccupato di avvisare uno dei tecnici della regia che si sarebbe messo al piano, avrebbe fatto un ultimo brano lì, prima di tornare davanti al palco e finire lo spettacolo.
All'esatto opposto, invece, ma solo apparentemente, è stato il concerto di Bob Dylan a cui ho assistito un paio di settimane fa (insieme a Mark Knopfler, tanto per non sbagliarsi). Che Dylan non fosse esattamente caloroso e comunicativo già lo si sapeva e difatti non ha stupito nessuno che le uniche parole uscite dalla sua bocca (a parte quelle delle canzoni, chiaramente) siano state i nomi dei musicisti e "thank you, goodbye". Null'altro. Il che però non vuol dire che non si sia messo pesantemente in gioco pure lui. Al contrario di Paul McCartney, difatti, che ha eseguito molto fedelmente la selezione di brani scelti (con l'unica eccezione di una versione di "Something" iniziata da solo all'ukulele e solo successivamente sfociata nella versione rock ballad che tutti conoscono) quest'altro nonnetto, che neppure lui ha più bisogno di dimostrare alcunché a nessuno, ha preso i suoi brani, anche i più classici, e li ha stravolti da cima a fondo.
Evidentemente il detto secondo cui gli opposti alla fine si toccano, ha un certo suo fondamento perché per uno che potrebbe benissimo cantare "Like A Rolling Stone" esattamente come l'ha incisa la prima volta quarantasei anni fa (e la gente sarebbe contentissima ugualmente) rielaborarla ogni volta, anche a rischio di renderla irriconoscibile, non è una cosa così scontata, e il fatto che invece lo faccia regolarmente (come confermatomi da un mio amico che l'ha già visto più volte dal vivo) dà la misura, a mio parere, di quanto anche Bob Dylan sia ancora uno capace di darsi completamente all'ascoltatore, anche se in una maniera non così immediata ed evidente come il Macca.
E sarei rimasto soddisfatto anche se Sir Paul avesse fatto un concerto al minimo sindacale, tipo "hallo - suoniamo i pezzi - goodbye". In fondo è una leggenda vivente e non ha più nulla da dimostrare a nessuno. Invece il nonnetto non solo ci ha dato dentro per due ore e mezza (tre bis!) ma ha anche dimostrato una comunicatività ed una voglia di mettersi in gioco davvero sorprendenti. A cominciare dallo sforzo di imparare delle frasi in italiano che andassero al di là dei convenevoli e saluti di rito, correggendosi e ripetendo quando si impappinava (in fondo non ce n'era bisogno, la gente avrebbe capito ugualmente, anche se avesse pronunciato male qualche parola).
La grandiosità della struttura dell'intero spettacolo, coi suoi tre megaschermi, era poi comunque estremamente funzionale a ciò che accadeva sul palco, che infatti era estremamente sobrio e a misura di musicista. I cinque musicisti, infatti, erano chiaramente i protagonisti, ed una accuratissima regia video (che Paul non ha mancato di ringraziare ed omaggiare, a fine concerto - altro tocco di classe) ha efficacemente riproposto per tutte le tredicimila persone presenti, anche le più lontane, quello che accadeva sul palco.
Che Paul stesso fosse ben conscio di essere anch'egli un ingranaggio parte di un meccanismo complesso (quand'anche l'ingranaggio più in vista e quello per cui la gente aveva pagato il biglietto) è stato chiaro alla fine del concerto quando, ormai all'ultimo bis, ha deciso di variare leggermente la scaletta dei brani. Invece di atteggiarsi a superstar che fa quello che gli pare e la gente al suo servizio si deve adeguare, e possibilmente in fretta, si è preoccupato di avvisare uno dei tecnici della regia che si sarebbe messo al piano, avrebbe fatto un ultimo brano lì, prima di tornare davanti al palco e finire lo spettacolo.
All'esatto opposto, invece, ma solo apparentemente, è stato il concerto di Bob Dylan a cui ho assistito un paio di settimane fa (insieme a Mark Knopfler, tanto per non sbagliarsi). Che Dylan non fosse esattamente caloroso e comunicativo già lo si sapeva e difatti non ha stupito nessuno che le uniche parole uscite dalla sua bocca (a parte quelle delle canzoni, chiaramente) siano state i nomi dei musicisti e "thank you, goodbye". Null'altro. Il che però non vuol dire che non si sia messo pesantemente in gioco pure lui. Al contrario di Paul McCartney, difatti, che ha eseguito molto fedelmente la selezione di brani scelti (con l'unica eccezione di una versione di "Something" iniziata da solo all'ukulele e solo successivamente sfociata nella versione rock ballad che tutti conoscono) quest'altro nonnetto, che neppure lui ha più bisogno di dimostrare alcunché a nessuno, ha preso i suoi brani, anche i più classici, e li ha stravolti da cima a fondo.
Evidentemente il detto secondo cui gli opposti alla fine si toccano, ha un certo suo fondamento perché per uno che potrebbe benissimo cantare "Like A Rolling Stone" esattamente come l'ha incisa la prima volta quarantasei anni fa (e la gente sarebbe contentissima ugualmente) rielaborarla ogni volta, anche a rischio di renderla irriconoscibile, non è una cosa così scontata, e il fatto che invece lo faccia regolarmente (come confermatomi da un mio amico che l'ha già visto più volte dal vivo) dà la misura, a mio parere, di quanto anche Bob Dylan sia ancora uno capace di darsi completamente all'ascoltatore, anche se in una maniera non così immediata ed evidente come il Macca.
Bisogna sempre ascoltare i nonni. Che loro ne sanno!